Il ruolo delle HR in Italia: cosa cambia rispetto agli altri Paesi europei?

Lo scenario del lavoro in Italia, dopo l’ultima grande crisi che ha coinvolto il Paese nella quasi totalità dei suoi settori, appare in grande fremito e continua evoluzione ma, secondo uno studio promosso da Cornerston OnDemand e condotto da IDC Italia, non abbastanza.

Cornerston è un’importante realtà leader nel software in ambiente cloud finalizzato alla formazione e alla gestione del capitale umano in tutto il mondo: in sostanza, il suo obiettivo è quello di ottimizzare e potenziare la forza lavoro delle aziende offrendo piattaforme learning e soluzioni di talent management.

È proprio questa mission ad essere stata la scintilla per l’avvio di uno studio che, ad oggi, è sicuramente considerabile tra i più impegnativi mai condotti nel nostro continente, in collaborazione con ICD Italia, prima società mondiale di ricerche di mercato, consulenza ed eventi in ambito IT e innovazione digitale.

Il campione preso in esame contava ben 1352 professionisti HR e business manager provenienti da 16 Paesi europei; la ricerca si è soffermata sull’analisi delle tendenze e degli sviluppi dello smart working, della leadership, delle performance e del ruolo delle HR all’interno delle aziende.

Per l’Italia è emerso un quadro che invita a riflettere.

Confrontando le aziende italiane con quelle europee, infatti, si è scoperto come l’approccio tradizionale al lavoro sia ancora il trend generalizzato, diventando in certi casi un vero e proprio ostacolo all’innovazione, che arranca senza riuscire a penetrare nel tessuto del mondo del lavoro.

I dati

Se in Europa lo smart working viene sempre più seriamente preso in considerazione ed ha un impatto positivo anche sul coinvolgimento diretto dei dipendenti, che diventano in qualche modo “ambasciatori” entusiasti della propria azienda, in Italia e, in generale, nei Paesi del Centro-Sud europeo, questo sistema viene ancora visto con diffidenza, tant’è che i manager HR soddisfatti della propria situazione lavorativa sono solo il 59%, contro il 71% della media europea.

In ogni caso, il fatto che il lavoro flessibile sia una priorità dei CEO europei sta instillando un trend equivalente anche nelle nostre organizzazioni.

Persino sul fronte della collaborazione le cose appaiono diversamente: in Europa, le performance finanziare sono potenziate proprio da un approccio di tipo collaborativo, che spinge i dipendenti ad essere più liberi ma, contemporaneamente, ad assumersi, proprio per questo, maggiori responsabilità; i manager italiani che sposano questa linea, coinvolgendo il personale ad assumere un ruolo comprimario nei processi decisionali, appartengono, invece, ad una percentuale nettamente inferiore.

A livello generale, insomma, emerge che gli HR sono dentro un processo di evoluzione che consentirà loro di coprire nuovi ruoli e nuove mansioni, dall’analisi delle performance dei dipendenti, all’educazione e formazione alla leadership fino alla semplificazione della burocrazia. In italia, invece, chi si occupa di Risorse Umane molto spesso non ha neanche un ruolo nell’ambito del recruiting perché vengono preferite le Agenzie per il Lavoro per cui il ruolo appare addirittura ridimensionato.

Dallo studio, tuttavia, emergono anche segnali di cambiamento incoraggianti che fanno sperare che questa rigidità legata alla tradizione lasci spazio, finalmente, all’innovazione e accantoni quella anacronistica e tradizionale inflessibilità che si è dimostrata troppe volte anticamera di una scarsa soddisfazione e, di conseguenza, di un’altrettanta scarsa produttività.

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